Solo il Mini Crabber sarebbe stato più essenziale di questo, uno dei primi modelli ad apparire a Great Gransden (da Sandyachting, di Andrew Parr)
Leggendo il volume Sandyachting di Andy Parr sono molti gli aspetti veramente sorprendenti. Innanzitutto la massa critica del landsailing tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, tutti yacht che oggi probabilmente non sono altro che grumi di ruggine (chi è stato a De Panne al RSYC capisce cosa intendo). Poi c’è l’esplosiva creatività che deflagrava su questa massa critica, dando vita a una straripante infinità di modelli, un po’ come accadde nel mondo automobilistico britannico in quegli stessi anni. Infine l’apporto di tecnici che con il landsailing non avevano nulla a che fare e che con il loro pensiero anticonvenzionale indicarono provvisoriamente nuove strade. Tra questi Barry Wainwright – ideatore della vela rigida a 3 segmenti di Amoeba, sul quale ruotenelvento tornerà anche in considerazione del grande interesse che sta suscitando il concetto di wing sail – e, qualche anno prima, il brillante ed originalissimo Peter Shelton.
Per la vela da terra la Gran Bretagna ha avuto l’opportunità di esprimersi su due fronti: quello classico delle grandi spiagge di marea e l’altro – unico – basato sulla disponibilità di una enorme quantità di aeroporti lasciati in eredità dalla Seconda Guerra Mondiale. Proprio su uno di questi nacque il Great Gransden Landyacht Club, del quale il nostro Shelton era uno dei membri fondatori. Ingegnere agricolo, la faccenda del landsailing gli piaceva ma ad affannarsi a tirare una corda non ci si vedeva proprio. Allora progettò uno yacht nel quale la vela era solidale col telaio e veniva orientata sterzando tutte e tre le ruote, le anteriori con una barra e la posteriore con la pedaliera. Al contrario di quello che si potrebbe immaginare, le anteriori non erano collegate, per cui la probabilità che uno sprovveduto si trovasse nell’imbarazzante situazione di inchiodarsi sobbalzando con le tre ruote che puntavano in direzioni diverse era piuttosto alta. Le diverse andature costringevano il Crabber a muoversi anche di lato, da cui il nome che ricorda il simpatico crostaceo.
Un Crabber in gara durante gli International Championship 1962 a Lytham St Annes (da Sandyachting, di Andrew Parr)
Il Crabber, con questa configurazione che a noi può sembrare stravagante e inconsueta – almeno quanto il funzionamento di un motore aeronautico rotativo – ebbe un sorprendente successo e un numero consistente di varianti. Più o meno sofisticati – dal Mini Crabber con l’attrezzatura del DN a quelli aerodinamici, con pilota prono e geniali vele semirigide – riuscirono ad ottenere ottimi risultati e nell’International Championship del 1962, nonostante il fondo sfavorevole – era un progetto da piste aeroportuali e non da spiaggia – si piazzò primo tra gli yacht britannici. Ma la semplicità stava arrivando e attorno al ’65 il nitido minimalismo del DN si sarebbe imposto anche in Gran Bretagna, lasciando al Crabber solo vecchie foto ingiallite. Solo che a ruotenelvento – contando sulle foto del volume di Andy Parr e sulle informazioni che ha gentilmente fornito Ian Dibdin, che pilotò diversi Crabber negli anni ’60 – gli è venuta voglia di capire meglio come funzionava.
CRABBER: IL CARRO A VELA DI TRAVERSO – 2. parte: IL MODELLO RC
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