Senza riflettere sulle conseguenze della sua domanda, “in che ordine camminano i tuoi piedi?” chiede il calabrone al millepiedi (meditazione giapponese)

Il pioniere di una critical mass all’interno di Villa Medici? In Europa, per tradizione, è solo nei territori francesi che può cominciare una rivoluzione.

E’ ormai la metà delle volte che vado a Villa Medici che lo faccio per questione di tavola. C’era un matrimonio di amici per i quali avevo realizzato la tavola dell’aMMore, indossavo completo caruccio e Vans bordeaux nuove di pacca (cerimonia religiosa a Sant’Ignazio della Cupola Ingannatrice).

Prima del buio controriformista la sessualità del Cristo esprimeva tutta la realtà del Figlio di Dio fattosi carne. Ammirazione dei Magi anche di quel piccolo particolare lì, a volte erezione post mortem, pensavamo tutti ad un profilo discreto del Cranach il Vecchio e invece nelle Crocifissioni ar Sarvatore je mette certi fiocchetti rosa attorno che pare ‘na bomboniera ar ponentino. Tra le ultime immagini dell’incontro dedicato a Leo Steinberg e condotto da Johanne Lamoureux,  lo shape della piaga del costato inferta dal soldato romano perché venissero rispettate le Scritture – non gli sarà spezzato alcun osso (Giovanni, 19,36), che è legittimo desiderio anche del rider – può finalmente introdurre LA FISICA DEL SURF.

L’obiettivo della fisica spiegato da Cristophe Clanet con Le taureau di Picasso (litografia, 1945), l’auspicio di un processo di semplificazione.

Diventa difficile mentire a un dodicenne sui dettagli dell’utilità della fisica applicata se non ne sei intimamente convinto nemmeno tu. La padrona di casa esordisce incantandoci con l’espressione forma mentale, ma la lezione di Cristophe Clanet è troppo affannata e affrettata per riconoscere nelle formule qualcosa di familiare e fraterno. Per cui i fratelli Arutkin (Alice, windsurfista wave e slalom, e Arthur, SUPper wave, entrambi da alta classifica e atleti bibitasvizzera, più Maxence, che ha abbandonato la tavola per fisica teorica e le scie delle imbarcazioni) seguono senza particolare entusiasmo pendenze critiche, velocità, gravità, tutto lontano dalla turbolenza della pratica, della disciplina e della pura gioia.

Alice Arutkin (FRA-111, windsurfista top in wave e slalom), in primo piano mentre Christophe Clanet introduce un accenno veramente istantaneo al vento e al kite.

Si parla anche di quell’estetica che negli sport de glisse si conosce e si cerca, ma la vera capacità dell’uomo è quella che vede la plaie du Christ trasfigurarsi nell’Iχθύς-tail e il tubo prodotto dalla plunging wave nella gidouille del Padre Ubu patafisico. Come è scritto nell’Ecclesiaste (1:18), “crescendo il sapere aumenta il dolore”, perciò prendi qualsiasi cazzo di tipo di tavola ti piace e sciallatela, rider senza Cognizione.

Mi piace molto di quello che è diventata Roma, come quando venti anni fa passavamo spesso per Londra senza starci mai troppo. Il 791 è una vettura normale, quello a fisarmonica che lancia bip bip di allarme quando inverte di 180° a Piazza Pio XI partiva dopo, c’è una caciara tale che rinuncio ad ascoltare i Groove Armada in cuffia. I miei dirimpettai uno ha i tratti orientali e la bandiera dell’Afghanistan sulla fibbia della cintura, l’altra è una signora di mezz’età con in mano una giacca rosa e la cover del telefono dello stesso colore delle mie Moronga. Proprio dietro di me uno smania inquieto, vestito troppo pesante per la giornata calda che già si sentiva e quindi si sa che scenderà alla fermata del San Camillo che gli offrirà un poco di serenità.

I riders del Green Skate Day 2017 sollevano le braccia arrendendosi alla probabile ma assoluta inutilità dell’hotel congressuale “con alti standard qualitativi” la Lama, adiacente alla simpatica Nuovola. 3 metri sopra il cielo, 2 metri fuori permesso

Che c’era prima che partisse il cantiere della Nuvola di Fuksas? Non me lo ricordo. Un benzinaio, con quello sulla Cristoforo Colombo non sbagli mai. Cosa preferireste reclamare oggi? La strada della tua città da girare in skate oppure essere il primo a recensire l’hotel La Lama su tripadvisor?

Dice F. che le pattinatrici sono tutte lesbiche, ma non lo so mica. Easy Rider, il film, è una tautologia, ogni sforzo di tradurtelo sarebbe inutile anche per una con quel rossetto preciso. Sono abbastanza vecchio per sapere come si apre lo sportello e il finestrino di una R4, grazie bro. Alien tequila. 25 anni è uno spartiacque professionale, 35 biologico. Ero preoccupato che non ripartisse l’auto, baracuta, i vagabondi dell’autista che era troppo per Ginsberg e Kerouac, adesso stella stai, dammi la chiave che tieni sotto la lingua. Voglio giorni tutti così.

Le bici sono apparse prima degli skate. Non tanto: solo una settantina di anni se si considera l’introduzione della safety bike, quella con le ruote anteriori e posteriori uguali, per intenderci. Avranno qualcosa da insegnarci sicuramente, ‘sti ragazzi.

Eben Weiss vive a New York, è stato anche skater, almeno quando girava con la tavola nel campo universitario, prima che si lasciasse sedurre dalla BMX e diventasse popolarissimo con il suo blog nato nel 2007,  Bike Snob NYC.

Leggendo con ordine, dal punto di vista storico/evoluzionistico possiamo assistere all’esplosione del fenomeno dei messenger (e borse relative) e poi al vizioso legame gentrificazione, hipster e bicicletta, soprattutto a scatto fisso e senza freni, in nome di una molesta quanto contraddittoria aspirazione a pulizia e somma purezza.

Ciclabile e skate si può come tutto il resto

Esistono personaggi che popolano la città e quel modo di viverla che abbiamo scelto. Sono stati infilati in categorie – o hanno fatto di tutto per farcisi infilare – e chi ne ha vissuto per primo la contiguità ha cominciato un processo di classificazione. Solo che forse non avevamo consapevolezza di come potessero chiamarsi.

Tra i “tipi” individuati da Weiss c’è il CICLISTA METROPOLITANO. Molto sciallato, cicchino, accuratamente trascurati lui e il mezzo, da solo di questi tempi passerebbe inosservato se non fosse che – vita vera, a Roma – a volte si accompagna con ciclista con Specialized, tutina, casco, scarpette, e addirittura occhiali. Difficile capire se lo faccia apposta, se cerchi nel contrasto l’attenzione che pochi ormai gli dedicano

A volte siamo allo stesso livello di Homer Simpson che cerca “l’aggeggio di metallo… che si usa per… scavare… il cibo”. Tutti conosciamo una Bella Godzilla, anche se non sapevamo che la Tradizione – o i ciclisti newyorkesi –  le avesse assegnato il nome di Bella Godzilla.

Bici, skate, promiscuità

Non si può essere d’accordo su tutto. Weiss diffida della definizione di cultura. Forse perché lo spettro, rimanendo per la bici troppo ampio, spappola, ma bisognerebbe capirsi su cosa si intende per cultura. Per lo skate tifo rivolta ma anche cultura perché va prodotta un’epica. Un altro punto sul quale sorge qualche divergenza è il potere del mercato. Se l’essere ciclisti incontra degli ostacoli, la colpa maggiore – scrive Weiss – non è dell’industria dell’automobile, ma di quella di bici ed accessori, con venature terroristiche, come nel caso del casco o dell’impotenza maschile. Nello skate, disciplina nella quale la pratica è già una forma di selezione e l’individualismo è ancor più marcato, è il rider stesso che rivendica una sua eccezionalità e superiorità: non è il mercato che rende estremo uno sport normale, ma lo skate stesso e chi lo pratica con maggior rischio del ciclista, con venature enfatizzanti.

Meglio pulire il pavimento dietro il cesso o i cuscinetti?

Ci sono analogie tra i due mondi. Se il corrispettivo del pulire il pavimento dietro il cesso per il ciclista è la manutenzione della catena – fa schifo, è una rogna, ma va fatto – per lo skater è il cuscinetto. Siamo nel campo della tecnica, ma anche molti sentimenti hanno le stesse radici. Le leggi possono essere ignorate se si utilizza il buon senso. La consapevolezza di ciò che si sta facendo, al contrario dell’automobilista che può godere del lusso della distrazione. Il potere dell’aggregazione anche nella sua espressione più maligna della “pressione dei pari”. L’affinamento di una lucidità superiore. E soprattutto il principio della militanza, con la conseguenza che più uno si abitua a vedere una cosa e più è disposto ad accettarla. Che è un po’ quello che significa fare politica.

Minima parte della fornitissima sezione ciclistica alla Casa del Parco, dentro Pineta Sacchetti

EBEN WEISS – BIKE SNOB MANIFESTO – Elliot Edizioni, Roma, 2010, traduzione di Veronica La Peccerella – prezzi variabili da euro 7,25 ma se passate alla Biblioteca Casa del Parco trovate una sostanziosa sezione dedicata a queste cose

IL LONGBOARD COME PARTE DELLA CITTA’ #1 – TORINO

IL LONGBOARD COME PARTE DELLA CITTA’ #2 – VISIBILI E INVISIBILI

IL LONGBOARD COME PARTE DELLA CITTA’ #3 – DA UNA ALL’ALTRA, LA TAVOLA IN VIAGGIO

IL LONGBOARD COME PARTE DELLA CITTA’ #4 – ROMA: AUDITORIUM, MAXXI E LA CICLABILE DI VIALE ANGELICO

Ho deciso che se vado a Roma Nord mi metto la giacca e me la abbottono pure. C’è in me una forte idea di decoro e conformismo. Una traccia, insomma.

Lasciarsi Piazza del Popolo alle spalle significa inoltrarsi in un territorio dove in un giorno festivo puoi riprenderti la città. Uffici chiusi, turisti solo se se sò perzi, strade libere, via verso Ponte Milvio.

Lamelle di legno per costruire edifici, lamelle di legno per costruire longboard. Strati sottili sottili uno sull’altro, poi una colla e – mosquito mosquito – guarda quante cose puoi farci.

La cavea dell’Auditorium è un po’ una noia antiaggregante, c’è molta più vita dalla parte opposta di via Flaminia, dove il cielo è tagliato dagli spigoli di Zaha Hadid e tutti si sta veramente sullo stesso Piano (ahahah). Mi piace guardare quelli che prendono una sedia e danno l’impressione che se la stanno portando a casa.

MAXXI CESSO.JPG

I cessi, cazzo quanto mi piacciono i cessi del Maxxi! ‘sto monoblocco de metallo fuso (che poi sarebbe solo stampato), questo è stile! Poi tutti quelli che conosco gli è venuta la smania di esporre al Maxxi, io mi preparo e vedo quanto ci metto ad arrivare.

La realtà oggettiva non sempre corrisponde all’interpretazione che ne diamo noi in quel preciso momento. Eppure non si scarta di molto: è tutto nella stessa canzone di Neil Young, Hey hey my my. Capitava un pessimo libro a portata di mano, ma pessimo che legittimava da poterci disegnare a penna.

Sopra al ponte della musica è splendido addormentarsi appoggiati ai piloni di acciaio mentre il Tevere scorre e lo sguardo svaria tra il verde di Montemario e quei tre piani che – bravo er direttore dei lavori – je s’erano sbriciolati come ‘n biscotto, sotto al ponte della musica c’è lo skatepark per trickettini a chi è capace.

La ciclabile in Prati lungo viale Angelico – ma un nome? – si srotola tranquilla, solo qualche platano che ha sparso qui e là i suoi rametti d’oro potrebbe esigere il suo macabro tributo di sangue. Il fondo è come la carne che chiede er pomata a manzotin, decente. Con delle 70mm vai quasi dappertutto, larga larga però non si può dire. Voglio i semafori con lo skate alternati a quelli con la bici, un incrocio per uno, per giustizia.

Un problema del rider quando il sole avvolge la città deserta con quella indolenza e quel profumo che non è ancora tipo l’EUR d’agosto che muori con la pelle della faccia e le rétine incenerite è che quando credi di essere arrivato a destinazione, ecco che scorgi improvvisamente un altro tratto che perché no? Mamma Roma cor gatto mammone, di David Vecchiato a Mercato Trionfale. Ci passa accanto ancora la ciclabile, meglio le alternative – marciapiede a specchio e stra-da stra-da stra-da.

L’unico limite di solito è tutto nella tua testa

Torino, dogtown e balon. Il capoluogo piemontese è una delle città ideali per il longboard, begli spot flat o di pendenza, poco traffico, comunità numerosa e sempre in fermento

Formidabile attrattore, lo skateboard permette di conoscere gente. O perché desta curiosità – soprattutto in mano ad un geezer – o perché puoi muoverti con lucida premeditazione verso luoghi dove sai c’è una bella situazione.

Tra coloro che vivono la tavola senza abbandonarla mai ecco Giuseppe Pettini, al Green Skate Day 2016 da Barcellona Pozzo di Gotto (ME) in pullman fino a Roma per divertirsi, conoscere nuovi riders e aggiudicarsi il contest per l’hippy jump

Il fatto di dover camminare per forza con i cani per lavoro ha un po’ annoiato del passo. Ora, trovare un’alternativa per i brevi spostamenti era piuttosto facile. Con l’unico e assoluto scopo di spostarmi da ‘sto famoso punto A a ‘st’altro famoso punto B, nella più intransigente fede nella forma che segue la funzione mi sono costruito le due tavole che sono poi quelle che utilizzo con maggior frequenza. Sono due drop through piatte, una 31″ e una 23″. Sono piccole, comode, hanno la maniglia e le porto ovunque. La 23″ la posso infilare dentro qualsiasi zaino sui 30 litri.

India-Lavinio, 24″dal treno

L’unica accortezza per evitare di danneggiare il fondo dello zaino con l’estremità della tavola – o in questo caso con la parte che ospita il pivot cup, dal momento che per sfruttare ogni mm il truck è completamente a sbalzo – è quella di preparare una base in polistirene. Poi è sufficiente un pezzo di spago per impedire alla tavola di muoversi.

L’annuale rito di consumo di junk food al cospetto dell’indifferente uretano della dogtown, Torino Porta Nuova

La tavola te la rotoli sotto i piedi seduto arancione in metro, ti ci sostieni titillando il dado del king pin mentre aspetti in banchina e alla fermata, la infili su una cappelliera da orient express, la appoggi al tavolino mentre ti mangi le monnezze al fast food, quando tutti stanno zitti zitti fai scorrere il dito sulle ruote e senti i Reds che fanno frrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr.

Consapevolezza di un piacere? Pragmatismo della mobilità? Sottocaricare una città che ha già i bei cazzi suoi? Poseraggio? Narcisismo patologico? Il gusto più infantile che ideologico dell’épater le bourgeois? Sì, infatti: tutte queste cose insieme: un potere della tavola è proprio COAGULARE.

(testo e foto di Enrico Azzini)

Si è svolta il 23 marzo alla Libreria Internazionale Il Mare (Roma, via del Vantaggio 19) la presentazione del romanzo TUTTE LE COSE CHE SCIVOLANO. Da oltre quaranta anni punto di riferimento del settore, c’era solo da chiarire cosa c’entrasse un’opera dedicata in gran parte alla tavola a rotelle con il mare. Tutto torna, in un gomitolo di vento, onde, periodi senza onde, vele che lasciano il posto agli aquiloni e così via. Un video estremamente didascalico ha illustrato quali siano questi sport di scivolamento dei quali parla il libro. Beh, come detto il protagonista si muove soprattutto sulla scena longboard, ma per affinità e circostanze varie sta in contatto anche con il kitesurf ed il landkite. Ai quali si aggiunge il landsailing, con la la libreria romana che ha di nuovo disponibile sia il manuale Vele da terra che la strip in tela che riassume i 400 anni di storia del carro a vela, da quella specie di galeone di Simon Stevin al Green Bird di Richard Jenkins (primato attuale a 203 kmh!). Pier Francesco Vasselli, team rider Peter Lynn, Marchio leggendario per gli aquiloni da trazione per ogni disciplina, ha descritto i cambiamenti che hanno attraversato il kitesurf da quando ha fatto la sua prima comparsa sulle spiagge italiane fino alla definitiva esplosione degli ultimi anni. Progressi per quel che riguarda i materiali – ormai bene o male tutte le ali volano senza problemi – e la sicurezza, con sistemi di sgancio ormai standardizzati che hanno reso user friendly un’attività che alle origini era molto più estremo che sport.

Per l’autore del romanzo il longboard ha rappresentato una folgorazione, tanto da essere rapidamente acquisito come filtro attraverso il quale interpretare una realtà complessa fatta di persone, luoghi, oggetti e pulsioni: non una riduzione, ma il portatore di una maggiore ricchezza. Una delle particolarità dello skate è poi che rimane facile coprire tutta la filiera, insomma se è una gioia metterci i piedi, è un piacere anche maggiore mettere i piedi su qualcosa che hanno fatto le tue manine sante. Sono state presentate delle hollow – che rappresentano una delle vette della costruzione artigianale – ma anche il pacchetto di Roarockit.

A qualcuno i truck fuori asse potrebbero far venire l’ansietta. Nessun problema con Roarockit, trovate già la traccia

La Casa canadese, con una filiale europea molto dinamica, offre tutto quel che occorre per realizzare una tavola col metodo tradizionale dei fogli d’acero ma con la garanzia dell’incollaggio di un sotto vuoto semplicissimo da ottenere. Anche un dettaglio che per molti shaper è scontato, come i fori per i truck, con Roarockit va liscio dal momento che il foglio d’acero è preforato.

Nel corso della presentazione (disponibile in versione integrale sul canale della Libreria Internazionale il Mare), con una nota stuzzicata da Anna Lucia Nicosia, responsabile della comunicazione, si è fatto riferimento ad una eccezionalità di TUTTE LE COSE CHE SCIVOLANO in quanto tassello di un sistema culturale più ampio ma ancora inesplorato. La letteratura esistente è scarsa (ruotenevento si era occupato di Hornby e Pintarelli su questo stesso blog) e non riguarda il longboard. Del resto nonostante ormai siano tutti dediti alla scrittura dai 160 caratteri alle saghe, il libro in certi settori continua a rimanere impastato di stregoneria.

Si spera che la linea continui coinvolgendo media diversi, uno dei quali è sicuramente quello video, ma in modo più narrativo e meno clippetta/raw run/gopro. Con questo obiettivo è stato proiettato in anteprima il teaser del documentario LET THE TOWNS BE CRUISED LET THE HILLS BE BOMBED. Un progetto diretto da Silvia Mattioli e prodotto da Arance Meccaniche insieme ad Enrico Azzini, che cerca grazie alle interviste ai riders di penetrare in profondità moventi e sensazioni che rendono il longboard un’esperienza della quale non ci si può più sottrarre.

Pubblicato da: ruotenelvento | marzo 20, 2017

IL LONGBOARD COME PARTE DELLA CITTA’ #2- VISIBILI E INVISIBILI

Lo skate è così intimamente invischiato nel dilemma della sua stessa natura. E’ una storia vecchia, una faccenda che coinvolge il settore in tutti gli aspetti, anche commerciali, come affermava Ron Barbagallo in un recente articolo su Concrete Wave. Lo stesso dilemma poi che aveva segnato l’ingresso di questa disciplina nella mezza formaldeide delle Olimpiadi. Se mostrarsi pulita con aspirazione accessoria al proselitismo o rimanere hardcore e underground, droga, bestemmie e localismo.

Un elemento di questo dilemma, uno dei punti da affrontare in una situazione liquida e ambigua, è quella di decidere da che parte stare quando si gira al di fuori di quelle iniziative dove la massa critica rappresenta già una forma di salvaguardia dai pericoli urbani. Da una parte il basso profilo e la piena responsabilità delle proprie azioni, dall’altra fiducia nel concittadino. Ho acquistato delle luci – da bici, da Tiger, 5 euro, si allacciano facilmente sugli hanger, anche su quelli quadrati tipo Caliber – per rendermi più visibile. Facendo commuting tutti i giorni l’unica volta che nel traffico un’automobilista ha avuto qualcosa da ridire è stato quando le avevo accese. Sull’opportunità di rendersi visibili si aprì una discussione in una Long Skate Night estiva tra i rider e una pattuglia di Carabinieri. Gli agenti lasciavano intuire che con delle luci e qualcuno che a metà percorso – beh, viale dell’industria all’EUR è una curva raddrizzata, tutti questi punti morti non ci sono – desse un occhio la faccenda sarebbe potuta essere tollerata.

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Gente che chiacchiera, passeggia, si bacia: sul marciapiede meglio evitare come saggiamente fa questa rider su via Boccea

IT’S UP TO YOU! In finale non fidarti di nessuno. Potresti cominciare a discriminare – i vecchi col cappello, le bionde con le smart, gli incravattati custodi della ragione e della verità – e discriminare non è mai bene. Ricordati sempre che ufficialmente sei tu quello dalla parte del torto. E’ una faccenda che dipende solo da te. Non so, forse rendersi fosforescenti, sparare razzi ad ogni incrocio e sperare che gli altri facciano la loro parte nello skate potrebbe rivelarsi inutile se non controproducente.

MANIFESTATI! Puoi comunicare con qualsiasi mezzo. Il primo mezzo è lo sguardo ed il viso. La prima cosa che mi insegnarono in ciclofficina è che incontrare lo sguardo dell’automobilista/motociclista è il primo elemento della sicurezza attiva non solo per rendersi conto se è vigile o è distratto, ma anche per stabilire una forma primordiale di contatto. 11 mila anni di civiltà non hanno cancellato il fatto che il segno più immediato al quale fare attenzione quando due animali si affrontano è il volto, la posizione sua e quella degli elementi che lo compongono, colore occhi bocca denti muscoli facciali. Stare in piedi è già un vantaggio per vedere ed essere visti. Stendere un braccio poi non significa solo emulare il gesto dell’indicatore di direzione, ma – di nuovo – rivelare la propria presenza.

LA LINE! Il massimo del piacere muovendosi in città è un percorso bello fluido. Una line bella pulita nel bowl o nel freeride te la puoi dare solo tu, una line pulita in città te la dai tu quando sei attento a ciò che la città ti sta dicendo. Afferra i tempi dei semafori, carva più incisivo per prendere tempo ma attento all’

L’IMPANICATO FUORI SINC!

Mentre il distratto che con la testa altrove non ti pensa è un inconveniente tattico, l’impanicato fuori sinc è una maledizione strategica. Tu vedi già la tua line precisa e calcolata con un minimo margine di sicurezza, hai marcato una carvata proprio per inserirti dietro la Micra bianca e chi è alla guida che fa? Ti vede, s’impanica e rallenta! Devi frenare e ricalcolare tutto, una giornata è definitivamente rovinata.

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COS’E’ LA CITTA’ – La domenica nel quartiere non c’è traffico. Sembra bello all’inizio, ma non è la città. Muoversi nella città significa prevederne le mosse, stare sempre 5″ avanti ad uno sportello che si apre, al 46 da superare o no, valutare la gente che ne è scesa, tra quanto ripartirà, infilare la line con rapidi calcoli e intuizioni tra un paraurti e l’altro. Ma quello che veramente riempie è l’assoluta illusione di essere responsabili per sé stessi, in piedi e fuori griglia, arrestando le auto come Giosuè il sole con un cenno di distratta autorità, consapevoli della propria fragilità che solo i sensi acuminati compensano. Sì, magari c’è anche una traccia di autodistruzione, ma tra tante cose che possono ammazzarci è proprio il minimo.

La vita umana non dura che un’istante / si dovrebbe trascorrerla a fare ciò che piace / in questo mondo fugace come un sogno / vivere nell’affanno è follia / […] La facoltà di non sentire / la possibilità di non guardare / Il buon senso, la logica, / i fatti, le opinioni, / le raccomandazioni / Occorre essere attenti per essere padroni di sé stessi occorre essere attenti (Linea Gotica, CSI)

UNA CATENA DI EVENTI – La possibilità di venire gravemente menomati per esempio dalla caduta di un grosso meteorite è oggi più remota di quello che poteva capitare nel Cretacico (66 milioni di anni fa). Era un cataclisma che potevi fare qualcosa per evitarlo? Farsi male girando la città con lo skate è un fatto da mettere in conto, ma non aiutarlo sarebbe meglio, no? Metti che è Roma. Metti che è venerdì, giorno che agita più degli altri. Metti che sciopera l’Atac. Metti che ha appena cominciato a piovigginare sabbia. Metti che se pioviggina sabbia significa che è scirocco o libeccio, venti meridionali che rendono pazzi in tutto il mondo, California al primo posto col Santa Ana. Metti che l’amore in qualche modo ti ha deluso e ti rode proprio il culo, sono 5 giorni che non fischietti altro che Love will tear us apart. Ecco, oggi non prendere lo skate.

Pubblicato da: ruotenelvento | gennaio 19, 2017

Khaled Hosseini – IL CACCIATORE DI AQUILONI

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Oggetti come kite e skate compaiono più nei titoli di opere di autori centro asiatici che di quelli occidentali. Flippata la questione, addirittura quando nella narrativa occidentale se ne parla effettivamente – Slam di Hornby, tradotto in Tutto per una ragazza di Hornby,  – lo skate scompare. E’ molto probabile che mentre il significato di kite e skate sia per noi piuttosto indifferente, se associato ad autori provenienti più o meno palesemente da altre culture sviluppi quel senso di commozione e di santa omogeneità che fa in primo luogo vendere i libri. Perché la cultura è sì la loro, ma il mercato rimane ancora il nostro. Quale miglior strumento di uno skate nel titolo per far rendere ad uno scrittore di origini palesemente iraniane l’idea di rivoluzione e libertà?

Sarebbe ingiusto considerare un’opera così intensa sul tema di colpa, rimorso e riscatto come Il cacciatore di aquiloni unicamente secondo il parametro kite, oppure in base alle occorrenze di auto americane. Ma tant’è, non è forse una di quelle verità evidenti di per sé il diritto del recensore di scrivere secondo il proprio esclusivo campo d’interesse? Hosseini ha scritto un libro straordinario, che rispetta qualsiasi previsione e qualsiasi quarta di copertina: è effettivamente impegnativo interrompere la lettura di una storia aspra anche di violenze etniche e sessuali. Qualche effettaccio – anche molto grand guignol – e qualche elemento intuibile – certo se tu e tua moglie non riuscite ad avere figli naturali e devi recuperare un bambino a Kabul… – ma funziona alla grande, tranne ‘sto finale che tirato troppo alle lunghe spappola nella circolarità. E che il più malvagio dei personaggi non sia un afgano puro ma abbia mezzo sangue di chi nel ‘900 ha rappresentato il male assoluto salva pure il popolo dell’autore.

Per chi se lo poteva permettere l’Afghanistan dei Re era un Paese dove arrivava la cioccolata svizzera e circolavano Buick e Ford Mustang. Questo lusso influisce sulla forma mentale del padre del protagonista (che, favoletta morale, invece tornerà alla Sunna)

Uno dei rifugiati disse a Baba: <> Baba fiutò un po’ di tabacco e allungò le gambe. <> Frase che liquidò definitivamente la questione di Dio.

Poi precipita in quel gorgo di catastrofi che passa da Daud Khan che spodesta il cugino sovrano cugino Zahir Shah – mentre è in Italia – ai Sovietici fino ai Talebani che inizialmente celebrati a Kabul come liberatori instaureranno uno dei terrori più agghiaccianti e ottusi degli ultimi decenni. Che orrore che ci fa il loro Ministero per la Prevenzione del Vizio e la Promozione della Virtù, eh? Anche se della polizia religiosa in Arabia Saudita, che procede secondo gli stessi principi, sembra interessarci meno.

Se Kabul era stata uno dei centri del Great Game tra l’impero russo e quello britannico a partire dal XIX secolo, per i ragazzi rappresentava il campo per tumultuosi combattimenti di aquiloni, fino a quando i Talebani non intervennero a bandire anche questa attività [sulla liceità dell’aquilone nell’Islam vedi qui]. Questi ragazzi a cosa danno la caccia? Fanno lottare e poi cercano di recuperare come trofei, inseguendo le ali alla deriva per tutta la città, dei monofilo in carta e bambù di forma quadrata. Queste forme di combattimento sono diffuse da secoli in gran parte dell’Asia e in Sudamerica, anche se le più conosciute in Occidente sono appunto quella praticata in Afghanistan, in Giappone (rokkaku, che però è esagonale) e India, dove il patang non poteva mancare di ispirare un paio di film. L’arma è sempre la stessa unica linea che cerca di governare il kite, linea che viene cosparsa di colla e vetro per tagliare il filo degli avversari. Ferisce anche le mani del kiter, che ne ostende le stimmate a titolo di gloria.

Le coincidenze per chi filtra attraverso l’occhio kite/skate congiurano incessanti. Il libro trova il suo glorioso happy ending a Fremont, California. Cittadina che nel corso degli anni non solo è diventata la cittadina USA con la più numerosa comunità afgana, ma è anche il quartier generale di Braille Skateboarding, il cui grido FIRST TRY! risuona ogni you make it we skate it che la fantasia della gente nutre giorno per giorno.

Pubblicato da: ruotenelvento | dicembre 31, 2016

SKATE, KITE, DONNE E ISLAM

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Un fotogramma rubato dal pluripremiato Skateistan – To live and skate Kabul (2011). Nello stesso Paese, dopo la capitale afgana, città-pioniera, dal 2013 il progetto è presente anche a Mazar-e-Sharif.

Gli attentati di matrice islamista a Parigi il 13 novembre 2015 al Bataclan e in altre zone della città rappresentarono un trauma che coinvolse ogni tipo di comunità. Il dibattito si spostò anche sulle piattaforme che si occupano di sport di scivolamento, nelle quali di solito il regolamento vieta di parlare di politica e religione. Non diversamente da altre religioni rivelate l’Islam si presta particolarmente alle interpretazioni e tale caratteristica ha sempre confuso la conoscenza che il mondo esterno cerca di acquisire a riguardo. Tra fraintendimenti e a generalizzazioni l’Islam venne rapidamente liquidato su certi forum come una religione che in forma assoluta proibisce il volo degli aquiloni. Toccò – giusto per amor di verità – ribattere che ovviamente non era così e che la questione era più sfumata. La pratica dell’aquilonismo non deve distogliere dal ricordare Dio e dalla preghiera, dai propri doveri, non deve comportare sfarzo (extravagance, un false friend), non deve essere alla base di scommesse proibite, e la sua forma non deve ricordare esseri viventi, con deroghe se a giocare sono i bambini. Le discipline del powerkite, kitesurf e landkite, dunque, secondo alcune interpretazioni ampiamente diffuse (come Islam Q&A), assolti i propri doveri, ci stanno tutte. Stesso discorso per lo skate, in islamweb.net o Islamic Board. Soliti paletti per le femmine, almeno per quanto riguarda il pattinaggio artistico, sostanzialmente per i motivi di decenza che portano a coprire il corpo.

E skate e kite sono inestricabilmente aggomitolati se si pensa al ruolo rilevante di questi due strumenti di gioco abbiano rappresentato nel buon immaginario occidentale del Paese che maggiormente è stato segnato dall’integralismo, l’Afganistan. Abbiamo bisogno di tranquillizzarci con delle occasioni semplificate di riscatto e buoni sentimenti.

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E’ addirittura probabile che il primo pensiero che attraversa la mente di una media opinione pubblica colta sia il romanzo di Khaled Hosseini il Cacciatore di aquiloni – che è duretto forte – piuttosto che il Leone del Panjshir o la difficile riconversione delle piantagioni di papavero da oppio. Skateistan – ruotenelvento ne aveva parlato quando l’attuazione dell’exit strategy militare rendeva difficile mantenere le posizioni conseguite  – sembra procedere, anche se a rilento (la raccolta dei 100.000 $ di GIVE HER FIVE non ha raggiunto l’obiettivo) e nonostante l’espansione, dopo la Cambogia, anche a Johannesburg.

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Questo pone in rilievo un altro dilemma dell’Islam, cioè che non solo esiste una guida, ma è proprio difficile individuare linee guida comuni. Che, su una comunità che rappresenta il 23% dell’umanità, fa un problema. Come abbiamo visto molti – o l’unica parte che ci risulta intellegibile, parzialmente simile, parlante inglese o francese – si pronunciano sul fatto che skate e kite non siano da considerare harām, ma nulla impedisce che a livello locale più o meno grande l’atteggiamento possa essere apertamente ostile.

Che vuoi? Le donne musulmane possono guidare in gran parte del mondo, ma ai Sauditi – con i quali siamo così amici se si tratta di rapporti economici – questa libertà come tante altre non piace. Così Hisham Fageeh (che è saudita ma vive negli USA, già autore della popolarissima No woman no drive) ha recentemente prodotto un video nel quale insieme alla guida le donne reclamano, tra gli altri, anche il diritto di skeitare.

Enrico Azzini per https://ruotenelvento.wordpress.com/

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Lasciate on the wall hollow board, poliuretano, fibra di vetro e altre stravaganze. Con roarockit old school deck i cari, vecchi 7 strati di acero e vuoto a pompetta!

roarockit è il modo più semplice per raddoppiare il puro piacere di fare skate, cioè mettere i tuoi piedini santi sulla tavola che ti sei costruito tu con le tue manine sante senza troppi sbattimenti. Nato in Canada da un’idea di Ted Hunter e Norah Jackson, roarockit fornisce una serie di kit che copre un po’ tutte le sfumature dello skate. ruotenelvento ne aveva già sentito parlare da un paio d’anni e ampio spazio a roarockit è dedicato anche nel libro The handmade skateboard di Matt Berger. In catalogo si trovano un cruiserino 23″, un pintail 40″, uno street 32″ e un deck old school sempre da 32″. Per chi ha già preso confidenza con il procedimento sono poi disponibile i prokit che con lo stampo grezzo danno la possibilità di svariare con lo shape. I prezzi con tutto il necessario partono dai 150 euro per 2 cruiserini, le spese di spedizione per l’Italia si aggirano sui 23 euro.

Da sempre l’impiallicciato d’acero – maple veneer – è la materia prima ideale per la costruzione di uno skate. Nello stampo concavo, inclinazione di nose e tail promettono bene.


Il kit contiene i tradizionali e totemici 7 fogli di acero lungo vena e contro vena, il bottom aiuta con i fori per i truck. Lo shape del deck si ottiene premendo i fogli contro una forma in polistirolo ad alta densità. La soluzione migliore per una pressione costante è il vuoto. Un metodo tanto diffuso quanto rustico per ottenerlo sarebbe il motorino del frigorifero, ma roarockit non vuole che rinunciate a tenere le birre in fresco, per cui fornisce un’alternativa ancora più semplice con sacco e un’efficace pompetta manuale. Tra valvola e fogli si applica una rete che permette il passaggio dell’aria in risucchio.

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Il sacco per il vuoto può accomodare agevolmente una 39″ come questa zero31 dogtown, quindi il kit base si presta bene anche per la realizzazione di un long.

L’attrezzatura per il vuoto è riutilizzabile – grazie anche ai nastri di chiusura di ricambio – e con una lunghezza che permette di mettere in pressa – con uno stampo adeguato – anche long da 40″. La colla fornita è la Titebond III, una alifatica specifica per legno (mai vista in negozio, ma si trova facilmente online).

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Altri accessori che completano il pacchetto sono il rullino per stendere la colla, una raspetta Stanley, dosatore, carta vetrata e ciò per i quali i riderZ sarebbero anche capaci di uccidere, degli adesivi [en passant: il logo roarockit ricorda molto quello dell’eccellenza italiana delle ruote a raggi, insomma la versione shaka delle Borrani].

Appena capita un po’ di tempo si comincia. La seconda parte riguarderà i progetti che roarockit dedica alle scuole e alla didattica.

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