Ecco la seconda parte dell’intervista di ruotenelvento a Gian Patrizio Cremonini.
Com’è nata l’esperienza del Crab? Io lo trovo molto interessante e stimolante come qualsiasi cosa che esce fuori dal coro, anche se ti confesso in esclusiva e con una certa vergogna che a Castiglione del Lago ho provato a scattarti un sacco di foto ma non riuscivo a capire come riprenderti…
Non che io sia un gran soggetto da riprendere in foto …. il CRAB è stata una folgorazione e vorrei poter dire che è stata una mia idea. Ma non è vero, è l’idea di un ragazzo francese, che le ha dato corpo realizzando numerosi prototipi, senza però riuscire a commercializzarlo. Quanto a me, ho visto la prima foto e ho iniziato a sognare. Mi attirava il fatto di correre con il corpo frontale rispetto alla vela, il che agevola parecchio la manovra dell’aquilone, soprattutto a barra. Poi vari tentativi di realizzazione, abortiti e finalmente – dopo anni di pensieri – l’incontro con Gianni il Maestro, che è veramente un piccolo genio della meccanica. A noi si sono aggiunti alcuni amici, che hanno condiviso il rimbalzo di idee per affinare il progetto e siamo riusciti a realizzare un qualcosa che non è esattamente ciò che pensavo ma gli va molto vicino. Starci sopra è …. fantastico. Tutto un altro modo di andare e una tecnica di riding da inventare completamente. Mi attira molto e non appena arriverà l’inverno mi ci dedicherò assiduamente.
Hai presente l’indovinello della Sfinge che solo Edipo riesce a sgamare? Qual è l’animale che al mattino cammina a quattro zampe, a mezzogiorno a due e alla sera a tre? E qual è l’animale che al mattino va col mountainboard, a mezzogiorno col buggy e alla sera col carro a vela? È il rider, ovvio. Ma insomma, il landkite è uno sport da giovani?
Il MTB è uno sport anche da giovani. Il buggy no. Vedo sempre le stesse facce, che progressivamente invecchiano o smettono per raggiunti limiti di età. Il gigantismo dei buggy che attualmente connota il movimento, poi, non aiuta. Spostare macchine da 50 kg – quando puoi fare riding con MTB da 7 kg – è una fatica improba. Ci vuole grande motivazione. Invece, cominciare col MTB, costa meno ed è più simile allo snowboard, da dove provengono le nuove leve. Ciò detto, se io dovessi optare tra buggy e MTB, scelgo senz’altro il buggy. Non è solo una questione generazionale, è che adoro la velocità e le MTB oltre un certo limite sono intrinsecamente pericolose. Un bel buggy, invece, ti permette di esprimere parecchie decine di chilometri all’ora, in relativa sicurezza. E io amo la sensazione di sfrecciare seduto a pochi cm dal suolo, correndo a pochi metri da un amico, tutti tesi ad arrivare primi in boa ….
Per me è molto più estremo il golf per uno che vive incollato a una scrivania piuttosto che il mountainboard per un diciassettenne abituato a rotolarsi ovunque. Secondo te, che sei avvocato, cos’è che rende uno sport estremo? Te lo chiedo anche in base al documento di Laura Santoro, RICONDUCIBILITÀ DEGLI SPORT ESTREMI ALLA CATEGORIA GIURIDICA DI ATTIVITÀ SPORTIVA che si trova in rete (http://www.rivista.scienzemotorie.unipa.it/index.php?option=com_content&task=view&id=19&Itemid=49).
Ho letto la prima parte dell’elaborato. A parte la personale ostilità ad ingabbiare qualcosa di impalpabile come lo sport in definizioni accademiche, non vedo né il buggy, né il kite come sport estremi, nel senso indicato dall’elaborato. Sono entrambe discipline molto sicure, se praticate con la dovuta tecnica, con le giuste precauzioni e la corretta conoscenza del contesto. Personalmente, non vivo affatto l’aquilonismo da trazione come una sfida contro la natura, o contro i miei limiti. Vivo il gesto atletico (se tale può essere definito quello di un sedentario che gioca con gli aquiloni il fine settimana) come un momento di introspezione personale, una finestra su di un mondo mentale che nell’ordinario è chiusa. Per quanto mi riguarda, essere in mare e respirare l’odor di salsedine è un fattore altrettanto importante dello stringere al meglio una bolina. Mi rendo però conto che il mio modo di vedere è marginale nel panorama sportivo della disciplina kite, in cui coloro che si avvicinano convinti di essere degli eroi si sprecano. Quanto al rapporto tra sport estremi e contesto legale, vi è senz’altro un problema di pratica in sicurezza e di rapporti con le assicurazioni. Io sono assolutamente favorevole ad una cornice di regole che definiscano le competenze e le misure di sicurezza da utilizzarsi per la pratica degli sport di trazione e aiutino a definire al meglio il rischio assicurabile. Purtroppo esse non interessano effettivamente a nessuno e meno che meno al CONI, che tramite la propria federazione FISN ha adottato un regolamento interno che, minimizzando il mio pensiero, trovo più che perfettibile. Ma certe critiche, ancorché portate alle orecchie di chi di dovere, compresi i kites, vengono al meglio ritenute superflue e al peggio dannose perché implicano l’accettazione del principio che qualche regola ci deve essere. Ognuno ha quindi ciò che si merita e confido che prima o poi, passato il boom del kite, sulle spiagge resteranno solo i veri appassionati, così come è capitato con il windsurf. D’inverno, in effetti, è già così.
Anche se un po’ off topic, dai tuoi interventi si scorge sempre una Bologna colta e goliardica. È molto cambiata negli ultimi anni?
Sì, è cambiata. La Bologna dei miei 16 anni era un paesone, rosso e borghese nello stesso tempo. Potevi girare alle 4 di mattina in tutta sicurezza e mia madre si sentiva sicura a mandarmi a scuola da solo, in prima elementare, con l’autobus. Era una città di indole contadina, che da una parte garantiva i diritti e dall’altra dava per scontato che essi implicassero i doveri. Era una città in cui potevi essere imprenditore, cattolico e comunista nello stesso tempo, perché i rispettivi valori non si contraddicevano. Il sentire comune ti diceva che quello che la comunità ti dava, eri tenuto a ripagarlo, ché l’efficienza era un bene e ricevere qualcosa gratis una vergogna. Ora mi sembra una città e basta e il mio rapporto è squisitamente pendolare. Quanto alla goliardia, non l’ho vissuta attivamente ai tempi dell’università, perché rifuggo per indole dai gruppi organizzati. Ma ho sempre avuto il gusto di pescar qualche volta dalla cima e qualche volta dal basso per rendere le situazioni che talvolta mi paiono surreali.
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