Pubblicato da: ruotenelvento | novembre 5, 2016

IL ROMANZO DEL LONGBOARD E DEL KITE – TUTTE LE COSE CHE SCIVOLANO

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TUTTE LE COSE CHE SCIVOLANO è un romanzo dedicato al longboarding e al kite. Il protagonista si muove principalmente sulla scena romana, spostandosi poi in altri spot, punti d’incontro preferenziali per chi ha accettato la forma mentale dello scivolamento. Il Monte Petrano per il landkite sia con buggy che col mountainboard, la California, i molti luoghi dove chi ha la scimmia del freeride o del downhill si riunisce per affrontare una discesa su strada. È un libro dove chi pratica queste discipline riconoscerà la smania e l’entusiasmo di andare sempre, l’occhio che cattura dettagli per altri insignificanti (la pendenza, la qualità dell’asfalto, il vento dominante), l’appropriazione di “non luoghi” anonimi come i parcheggi per chi fa skate oppure assolutamente tossici come certi spot per il kitesurf, l’oscillare della tavola tra eversione di chi la fa ed avversione di chi no e il sistema che spesso – e si qui si parla soprattutto e di nuovo di skate – cerca di incorporarla nei suoi dispositivi. Il romanzo tocca però anche altri argomenti legati ad una crisi, sia personale che professionale, in particolare nel settore dei cantieri navali legati alle costruzioni in legno. Solo la tavola, lo scivolamento e la condivisione riusciranno ad offrire un minimo sollievo a tutte queste crisi.

Enrico Azzini è uno storico che ha già pubblicato saggi su automobilismo e aviazione. Il suo esordio come autore è stato tuttavia con Vele da Terra, il manuale di Mursia sul landsailing, disciplina per la quale ha partecipato a due Campionati del Mondo, due Coppe America e un Europeo Promo. Da qualche anno ha scoperto il longboard skate e tutte le gioie che può regalare, sia nella pratica, col suono dell’uretano che gratta l’asfalto, che nella costruzione, trasferendo le sue esperienze di nautica e aeronautica nella realizzazione di complesse tavole hollow.

TUTTE LE COSE CHE SCIVOLANO, l’unico romanzo dedicato al longboard e al kite, potete riceverlo (in Italia) per posta con queste due modalità: piego di libri normale a 10 euro o piego di libri raccomandato a 12,50 euro. Se invece si skeita insieme, beh, allora consegna a mano! Info e contatti sulla pagina FB di TUTTE LE COSE CHE SCIVOLANO.

Si festeggia Richard Jenkins che ha appena ottenuto il record di 202,9 kmh sull’Ivanpah Dry Lake (foto Ecotricity Greenbird, materiale inviato all’autore per un ampio servizio su Volare, settembre 2010)

Nella ricerca della massima velocità in carro a vela il Greenbird di Richard Jenkins, che nel marzo del 2009 sull’Ivanpah Dry Lake raggiunse i 202,9 kmh, ha rappresentato lo spartiacque tra un approccio brutale e casareccio e uno straordinariamente più sofisticato. L’Ironduck pilotato da Bob Schumacher, che dieci anni prima sullo stesso spot aveva toccato i 187,7 kmh, era più o meno un pezzo di ferro costruito nel garage dietro casa. Per l’assale del mio primo landyacht segai col frullino i mozzi di una Panda allo sfascio, quelli dell’Ironduck provenivano invece da una Volvo, come dire che poteva essere ancora roba alla nostra portata. E manteneva il concetto al quale siamo abituati quando navighiamo su terra: tre ruote, con quella sottovento che si oppone naturalmente al ribaltamento, a costo, certo, di un considerevole attrito. Ma a parte un’evidente maggiore attenzione all’aerodinamica generale e all’utilizzo del carbonio, le novità sostanziali tra Ironduck e Greenbird erano due. La prima riguardava la manovra della vela. Grazie ad una piccola appendice aerodinamica il controllo è praticamente automatico, impostato sull’angolo di attacco più efficiente, dispensando il pilota dal mettersi a fare regolazioni di precisione quando, attorno ai 200 kmh, con 40 nodi, raffiche e polvere sta cercando di seguire la rotta migliore o quantomeno di sopravvivere. Nell’abitacolo dell’Ironduck un piccolo volantino comandava tramite catena e pignone la vela, ma per sterzare non c’era niente di differente dal Seagull che trovate in una scuola francese della FFCV, vai di pedaliera, solo che stai andando terribilmente veloce nel chiasso più totale (quando intervistai Bob Schumacher una delle caratteristiche più fastidiose del mezzo, col telaio in traliccio, era proprio la rumorosità). La seconda novità, che sorprese anche i velisti di terra più smaliziati, fu la rivoluzione del terzo punto d’appoggio, SOPRAVENTO, con una ruota che non era più all’estremità di quello che potremmo definire un mero asse, ma di un’ala. Così, mentre le due ruote nello scafo garantivano traiettoria e direzionalità, il più pulito degli equilibri veniva dato proprio da quell’asse all’estremità del quale una ruota è poco più di un accidente. Due calcoli bisognava farli, perché quel profilo alare oltre a creare deportanza – circa 400 kg sul Greenbird – poteva anche ospitare della zavorra. Con una vela tradizionale una configurazione del genere sarebbe rischiosa, ma una rigida, che accelera più lentamente, permette al profilo alare sopravento di svolgere il suo lavoro quando la minaccia di ribaltamenti è ancora lontana.

Richard Jenkins – brillante ingegnere inglese, allora trentatreenne, e ovviamente pilota – si era occupato personalmente anche di gran parte della realizzazione del mezzo. Trascorsero quasi dieci anni di modifiche anche radicali nel progetto e negli sponsor – avrebbe dovuto lottare anche per il record su ghiaccio, con differenze sostanziali nella configurazione, e si chiamava Windjet prima che intervenisse a supporto Ecotricity, una società che fornisce energia elettrica da fonti rinnovabili, prevalentemente, indovina un po’? – perché potesse portarlo al successo. È evidente che un team come Emirates New Zealand se non può concentrarsi in maniera assoluta sul Horonuku – priorità alla AC75 da defender per Barcellona 2024 e poi c’è l’altro progetto laterale dell’imbarcazione ad idrogeno – può comunque disporre di uomini, know how e risorse consistenti. La discussione preliminare è iniziata nemmeno un anno fa, nel luglio del 2021, e a novembre dello stesso anno si cominciavano a preparare le forme sulle quali laminare il carbonio. Tecnicamente non si torna indietro, quindi la ruota esterna si trova ancora sopravento, all’estremità del lungo profilo alare. Non si parla di terza ruota perché lungo lo scafo ce ne sono già tre, una anteriore e una coppia in tandem dietro per contenere la superficie frontale, mentre la posteriore del Greenbird era tipo formula, larga, montata su una sospensione studiata dalla Lola Cars. Queste ruote in tandem possono essere avvicinate o allontanate dal centro velico eliminando una sezione di circa un metro dello scafo in modo da avere uno yacht bilanciato a piacere e questo è uno degli elementi sui quali si sono concentrati i test sulla pista dell’aeroporto di Whenuapai, una delle basi dell’aeronautica militare neozelandese. Per il momento sembra che i risultati migliori si stiano ottenendo con la versione corta, che compatta massa, centro velico e centro di resistenza laterale. Un altro componente fondamentale da definire sono il complesso ruote, in modo da fornire l’aderenza necessaria senza attriti molesti. Considerando motivi di costi e di rapidità di costruzione vela, albero e profilo orizzontale sono stati realizzati con fibra di carbonio preimpregnata mentre lo scafo con pelli a secco e infusione, un processo che produce pezzi relativamente pesanti, particolarmente indicati per un veicolo che deve sfruttare al massimo il momento.

I test hanno soddisfatto il pilota Glenn Ashby e tutto il team, pronto a impacchettare Honoruku e a spedirlo in Australia, sul lago Gairdner, dove probabilmente in agosto comincerà a puntare al primato. Come per qualsiasi record di velocità l’incognita maggiore rimane sempre quella di una finestra sufficientemente ampia con almeno 35 nodi per mettere a punto il mezzo per quelle condizioni specifiche e poi tentare il tutto per tutto.

Pubblicato da: ruotenelvento | marzo 25, 2020

La OLD SCHOOL di ROAROCKIT – Costruire uno skate è facile facile

Il lockdown imposto dal COVID-19 ha stuzzicato la voglia di mettersi finalmente a costruire uno skate old school che avevo preso da Roarockit Europe tre anni fa. Avevo già realizzato una quindicina di longboard, quasi tutti piatti se si escludono gli hollow. Senza presse e stampi – in cemento, in legno, col crick, come vi pare, lasciateci pure la macchina parcheggiata sopra – infatti è piuttosto difficile formare tridimensionalmente la tavola con concavo, wheel wells e kicks. E’ anche piuttosto difficile trovare qui in Italia il materiale principe per lo skate, cioè i sottili fogli d’acero – il veneer – che ti svenano se non ne prendi metri e metri cubi.

A questo punto della storia appare Roarockit, che offre tutto quello che occorre: fogli di acero già sagomati, colla, forme in polistirolo (street, pintail, cruiserino, long cutaway), accessori e una sacca con pompetta per il vuoto, che rimane il sistema migliore per una tavola vera senza ricorrere ad attrezzature complesse. Le operazioni (stendi la colla, sovrapponi i fogli, lega i fogli con gli elastici, sistema la rete, infila nel sacco, sigilla, POMPA!) è meglio provarle a freddo, certo che alla terza e ultima sessione una tavola sottovuoto non ha più misteri.

L’unico problema da affrontare con una certa fermezza è stato causato dall’ultimo strato del primo vuoto, che è trasversale. Infatti se un foglio a venature trasversali rimane esposto, cioè non coperto da uno longitudinale, è facile che se il vuoto cede il veneer si increspi e faccia delle onde. Una botta di frullino e di levigatrice per appianare e il secondo vuoto seppellirà tutto. Per il resto aggiustamenti: forse sarebbe meglio stringere il pacchetto di forma e fogli con qualche elastico in più perché la bocca della sacca diventa via via più stretta.

Il primo vuoto ha ceduto più dei successivi perché non avevo capito la reale sostanza del materiale che sigilla la sacca. Non bisogna andarci leggeri come fosse biadesivo, ma con decisione perché è una specie di pongo nero molto appiccicoso. Da seguire anche le istruzioni per utilizzarlo successivamente, facendo fare al pollice da apripista al centro e pulendo bene entrambi i lembi finché il distacco non avviene quasi naturalmente. Nell’ultimo vuoto evitare anche che la rete capiti sui buchi preforati dei truck, perché da lì esce la colla e s’impiastriccia con la rete ed il foglio che in tutto il processo deve rimanere assolutamente perfetto, il bottom.

Lato strada pirografia d’occasione con quel simpatico tipo beccuto del medico della peste tratto da un’incisione del 1650 circa. Dr. Schnabel von Rom diventa Dr. Skate von Rom (e io anfatti sò de Roma).

Il deck è stato affrontato come se sull’intera faccia rugosa del pianeta non fosse rimasto più un solo centimetro quadrato di grip. Ho frantumato, triturato e vagliato due bottiglie di birra, una bruna e una verde per replicare il disegno del bottom.

Ho steso una mano di resina epossidica e poi utilizzato delle maschere per cospargere prima la polvere verde e poi quella bruna. Il contrasto tra i due toni è molto più debole di come me l’ero immaginato, ma i riflessi verdi sul legno naturale sono splendidi. Truck Slide Surfskate, ruote Orangatang The Kilmer 83a. In finale una tavola completa ready to ride e FATTA PROPRIO DA TE in 6 giorni: 3 per i 3 vuoti, uno per una pulitura generale (nel kit c’è una raspina per il bordo), uno per la grafica e uno per il grip.

Pubblicato da: ruotenelvento | giugno 19, 2019

5 ANNI DI LONGBOARD – progettazione e costruzione 2014-2019

Ho lavorato sulle strade in salita ma adesso cerco quelle in discesa. La povera mamma non mi ha fatto studiare perché i vecchi si battessero le dita sulla tempia quando gli passo accanto. Ma tant’è, capita. Facevo uno sport complicato che bisognava cercarsi un buon posto, portarsi appresso un sacco di roba, caricarla, montarla, smontarla: era pure necessario il favore dell’ambiente. Oggi non mi pongo più certe domande, tipo se mi piacciono i cani, oppure i gatti, oppure se mi piace skeitare. Era anche un territorio inesplorato per un mucchio di tecniche, per tutte le competenze manuali e culturali, così diventò un pretesto naturale. Nell’estate del 2014 cominciai a costruirmi il primo longboard. Una piccola selezione. Tranne la GODSPEED 906 slidano tutte.

GODSPEED THE 906

E’ una quinta, una scena, non ha giustificazioni tecniche, impiega un anno a fare una curva, serve a girare un video su una linea di autobus di Roma. E’ lunga 75″ e stretta stretta. Ha una pinna che sarebbe piaciuta a Signal Hill.

 

LA TAVOLA DELL’AMORE

Regalo per un matrimonio di riderZ, tutto stava nell’armonizzare forme, grafica e grip per due tavole separate che si potessero combinare in un cuore.

 

GIVE POLYSTYRENE A CHANCE

La n.7 appartiene a quella serie di tentativi dettati dalla convinzione aeronautica che leggero fosse bello anche per il longboarding. E’ una tavola da surf con i truck e per imbullonarci questi bisognava trovare una soluzione che si aggrappasse bene al polistirene. Un uomo dunque si aggrappa bene al polistirene. E’ la più divertente di tutte perché quando gira fà un sacco di schiocchi strani.

 

JOLENE E LE ALTRE – HOLLOW LONGBOARD

Le hollows rappresentano la massima espressione di una costruzione estremamente leggera. Si partì da JOLENE. E’ più barca che aeroplano. La coperta è piatta e lo spessore è di sostanza, si poteva fare di meglio. LA SERENISSIMA anche nella grafica si ispira allo SVA 5 del volo su Vienna del 9 agosto 1918. La provò James Kelly quando venne a Roma per Arbor. Si poteva fare ancora di meglio, più sottile, con un concavo più pronunciato e con un rivestimento del bottom unico invece che in 3 parti, ma è rimasta da completare.

 

 

GIACOMO GIACOMO

La tavola migliore è quella più utilizzata. Qui la forma segue veramente la funzione. E’ di una banalità assoluta: non ha concavo né camber, sono solo due fogli di betulla da 6mm incollati per dar vita ad una drop through da 80 cm. Serve per muoversi in città con la maggiore comodità possibile, drop through per spingere e frenare senza sforzare le mie gambe fraciche, maniglia. Gira perfettamente da tre anni con Caliber e soprattutto le formidabili MORONGA.

GIACOMO GIACOMO ha avuto un seguito che tendeva ad una compattezza ancora maggiore. Con i piedi sul grip SALTAROSPO gira altrettanto bene, ma quei 18 cm centimetri che le mancano si sentono quando io-geezer cerco un appoggio, in piedi, come fosse bastone della mia vecchiaia.

 

E per finire, l’oltraggiosa, incomparabile, superba, rossa come l’inferno e la passione, LA SFIAMMEGGIANTE!

Pubblicato da: ruotenelvento | giugno 9, 2019

GODSPEED THE 906 #1 – 75″ LONGBOARD SKATE CONCEPT

 

Come qualsiasi altra superficie od oggetto la tavola è solo un pretesto ed un supporto per la parola, per un discorso. Accanto all’articolazione del discorso c’è il giardino dello sfruttamento della variazione, appendici aerodinamiche, minuscoli gadget recuperati, le cazzate che compri da Tiger. GODSPEED THE 906 oltre ad essere un longboard sono un paio di racconti, un video, dei dipinti.

 

GODSPEED THE 906 è una 75″ (190 cm) progettata per la sostituzione della linea di autobus di Roma tra i capilinea di Valle Aurelia e di Casal Lumbroso. Il 906 passa sotto casa mia: lo riconosco quando passa perché vibra più degli altri: vibra più degli altri perché percorre strade più sconnesse delle altre: tra queste la salita di via del Pescaccio, live rear axle bumping. A volte oltre il ponte rigido saltano le corse, la gente – badanti, colf, giardinieri verso quella ridente e protetta da milioni di cartelli di zona videosorvegliata area residenziale tra il deposito carburanti e quella che, a Malagrotta, era la discarica più grande d’Europa, oppure studenti e insegnanti precari della Magarotto – lo odia, a volte lo prende anche se non deve prenderlo solo perché passa.

Fianco a fianco, la n.15 Giacomo Giacomo, una 031 Dogtown, l’hollow Jolene e Godspeed the 906

Deck in faggio, ex montante di una libreria di una ex, Randal R II 150, ruote blank 78a. Gira un pochino larghina, ma dopo un po’ ci si abitua, di meno alla larghezza risicata. Rimane da maneggiare con cautela.

 

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Sellallero, troppo facile riconoscere un fotogramma di Thrashin’ – Corsa al massacro oppure dirà ma quello è il film di Molaioli! E grazie, dirà, c’ero pur’io a scenne ar Colosseo! A volte capita invece che la tavola compare all’improvviso. Il primo che indovina tutti e 4 i film riceverà una copia di Tutte le cose che scivolano, il libro dedicato al longboard, kitesurf, landkite, ecc. e un paio di guanti da slide Long Island (disponibili da Kahuna). Spedizione a carico mio. Supposizioni e certezze possono essere comunicate alla pagina FB del libro. Se può aiutare, tutti i film in questione sono presenti in dvd alla Casa del Parco, che ospita anche la biblioteca dello skate. Faccio che il termine scade il 15 luglio.

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Pubblicato da: ruotenelvento | febbraio 23, 2018

LANDSAILING, KITEBUGGY & LANDKITE: RASSEGNA STAMPA 2002 – 2011

LANDSAILING, KITEBUGGY & LANDKITE: RASSEGNA STAMPA ITALIANA 2002-2011

Gazzetta dello Sport, 14 marzo 2002, Riccardo Bufalino

Bolina, febbraio 2006, David Ingiosi

Volare, settembre 2010, Enrico Azzini

Men’s Health, settembre 2010, Alberto Mercanti – Gughi Fassino

Il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2010, Eugenia Romanelli

 

Millionaire, ottobre 2011, Maria Spezia

 

Pubblicato da: ruotenelvento | gennaio 23, 2018

GIORNI SELVAGGI – Una vita sulle onde – WILLIAM FINNEGAN

E’ uno scrittore, è un giornalista, è un surfista, è capace, è fortunato, non si fa male, comincia all’età di 10 anni, certo i primi anni non vi acchiapperanno molto, bisogna giungere ad una certa maturità, allora sì che le cose cominciano a girare, ti viene l’idea di questa onda perfetta, eccola qua!, guarda questa!, freni i treni come Cassady, dormi ovunque, ti viene la malaria, lo pterigio, l’esostosi, ti fai lasciare su un’isola 6 taniche d’acqua potabile su 8 sanno di benzina, tornano tra una settimana e siete in 4, sono tutti un po’ superficiali e mezzi scemi, non direi, c’è il big wave surfer Mark Renneker che dedica la vita alla prevenzione del cancro, e lui fa l’insegnante a Cape Town tra i neri al culmine dell’apartheid e poi scriverà un mucchio di libri e articoli su guerre civili e ingiustizie sociali ma tanto per allentare la tensione per un collega che appena adesso è stato ammazzato prende la tavola ed esce nell’onda grandiosa La Libertad di El Salvador perché comunque è importante guardare sempre oltre la cresta successiva come forma mentale. Dice i sentimenti confusi che assalgono, la necessità di una purezza – cosa significa purezza? economia del gesto e della parola ⇒ stile, distacco, “c’era troppo da dire, troppa emozione in giro e quindi niente da dire” (p. 224), sacro spot misterioso (da kine, pidgin, qualcosa di cui non si ricorda il nome) lo sgomento quando il tuo incontaminato finisce in copertina – solitudine terrore ed estasi di fronte all’annientamento che un conto è se lo leggi sul Bascom un altro è se stai tra due secche con un set gigantesco che si avvicina, no? vedi sul fondo che tutta quell’energia nell’acqua smuove massi grandi come schedari, una sinistra che può diventare sinistra, a right one that can get the right one,  dice che in queste faccende devi sbrigarti, ah, no, no, cioè, non nel senso che devi decidere se prenderla o no ma che

In base alla mia esperienza, le persone che provavano a iniziare a un’età avanzata, vale a dire oltre i quattordici anni, non avevano in pratica alcuna possibilità di cavarsela bene, e di solito prima di mollare si procuravano dolori e ferite. [p. 139]

che  qualifica il confine tra… tra… tra… com’era? che scriveva Enzsenberger in Una teoria del turismo?, gli anni che elevano la frequenza del ma cosa sto combinando sono ormai un uomo adulto, mina certi miti perché Woodstock dava l’idea che fosse una specie di “weekend pseudoartistico per vecchi” o che – alternativamente – Los Angeles o San Francisco fossero una specie di morte in vita, e comunque mezzo secolo di surf in tutto il mondo sono una cifra di anni nei quali tante cose cambiano, cambia Madeira coperta di soldi dell’Unione Europea, cambia Malibu, cambia Tavarua, mentre le persone invece invecchiano anche se continuano a prendere onde.

Giorni selvaggi è ben scritto e ben tradotto – da Fiorenza Conte, Mirko Esposito e Stella Sacchini – 66thand2nd, Roma 2016

 

 

Pubblicato da: ruotenelvento | novembre 21, 2017

UN ANNO SENZA AUTO, LONGBOARDING THE LAST MILE

Piccoli spostamenti in qualsiasi zona della città con una drop through da 31″ da spingere e frenare senza sbattimenti e con maniglia nel deck per trasportarla facilmente. Completano Caliber 184 mm e le fantastiche Moronga 80a.

E’ ormai un anno che le strade del trasporto privato e la mia si sono separate, per tutta una serie di ragioni (vedi qui e qua) ideali o più pratiche. Una tonnellata secca per far star piuttosto immobile una singola persona che travaglia in gran parte per pagarsi tale immobilità è un pensiero talmente triste che è difficile che ti venga la saudade: libertà ‘sto cazzo. L’assetto ideale assunto è perciò quello del mezzo pubblico fin dove arriva, e poi longboard a colmare la destinazione. In finale si fa senza troppi problemi e dimenticandosi presto dell’interpretazione della faccenda in chiave giovane e gajarda, incorporandone in piena gioia il mero principio utile.

In freeride devi tenere la linea, che il traffico non offre univoca. I possibili percorsi si moltiplicano e questo rende la faccenda sicuramente più divertente perché enfatizza il valore di interpretazione e di decisione. Il sogno del cittadino – la strada completamente libera – per il rider rappresenta una mezza noia. 

Footbraking è essenziale, ma ovviamente incide sulle suole. Per chi ci tiene, quelle delle Converse emettono un sibilo più acuto rispetto alle Vans, sono un po’ come il P180 della frenata col piede.

E’ pericoloso scheitare tutti i giorni in città? Il fatto è che nel girare in long sei assolutamente consapevole che tutto dipende da te e che non puoi fidarti di nessuno, stai con 1000 occhi e a culo stretto, mentre come partecipante “legale” del traffico ti aspetti che ognuno segua la dovuta condotta. E’ per questo che è molto peggio attraversare da pedone sulle strisce, dove è più probabile venire investiti da un’automobilista distratta. In questo caso 2 punti di sutura e frattura del setto nasale. Anche la faccia, come le scarpe, diventa  materiale da consumo.

 

Pubblicato da: ruotenelvento | giugno 13, 2017

PER UNO SKATEPARK A PINETA SACCHETTI

Danilo in standup slide in una delle vie adiacenti al Parco del Pineto. Grazie al Bombolo e al Thomas Milian di Piskv via Pio IX è diventata una delle strade più note del quartiere che tra tanti problemi sta trovando una sua dimensione anche estetica

Subito dopo l’incendio che distrusse il mai nemmeno preinaugurato (una novità per la città, dove sembrava che una preinaugurazione non si negasse proprio a niente e nessuno) si era scritto che in quello spazio ci si poteva almeno ricavare una skateplaza. Si faceva per provocare, visti i costi ingenti, bloccati dal vicolo cieco che come ti muovi – per ripristinare o demolire completamente – sono cifre da diverse centinaia di migliaia di euro.

In questi giorni tuttavia cittadini e Associazioni stanno partecipando ad un tavolo convocato da Valeria Pulieri (assessora del XIV Municipio alle politiche ambientali, della mobilità, verde pubblico, trasporti, qualità della vita) per vedere come ripensare le attività ludiche nell’area. Non starò qui a raccontare né dello splendore fragile e raro del Parco del Pineto né del ruolo d’aggregazione, crescita e formazione (per tutte le età, ma soprattutto in quella di passaggi complicati che riguardano gli adolescenti, target preferenziale di una struttura del genere) dello skate, ma valide ragioni per un park al Pineto potrebbero essere:

  • Le strutture possono essere perfettamente compatibili con il Parco. E’ evidente che per evitare gli atti dolosi che già lo scorso dicembre hanno danneggiato il parco per i bambini è necessario prevedere materiali come il cemento. In Italia una delle strutture in cemento armonizzate è il Jurassic Skatepark che copre circa 800 mq all’interno del più grande Parco di Cesena, quello dell’Ippodromo.
  • Skatepark è una sintesi. Chiunque conosca realtà anche di altre città mediterranee come Barcellona e Marsiglia sa perfettamente che questa sintesi definisce uno spazio che ospita all’interno biciclette, pattini e monopattini, all’esterno sia altre attività sportive (basket, free climbing, quello che vi pare) che elementi di arredo urbano di svago e riposo, e tutto questo per qualsiasi fascia d’età possa venirvi in mente.

Come annunciato la settimana precedente dall’assessora Pulieri, al Parco del Pineto è cominciato lo sfalcio. Un sistema per proteggere dagli incendi che più volte hanno devastato il Parco, come allo stesso tempo un modo per tutelare l’area è quello di offrire spazi che la comunità possa vivere in maniera permanente, continuativa e con orgoglio. 

  • Vivere un luogo è il modo migliore per mantenerlo sicuro. La presenza è già di per sé una deterrenza. In un contesto difficile sia per il reperimento dei fondi che per pregiudizi legati ad un’immagine negativa (ma perché? con tutta la disciplina che occorre per chiudere un trick) gli skater proteggono lo spot frequentandolo a qualsiasi orario. Nella Capitale per il momento esistono 2 skatepark principali (Cinetown a Cinecittà, Municipio VII e Bunker a Montesacro, IV Municipio) e altri impianti minori (per esempio sotto al Ponte della Musica). E’ facile prevedere che quelli che praticano skate, BMX e monopattini lontani da questi quartieri sarebbero felici di trovare una struttura anche nel quadrante nordovest della città, oltre a farne occasione di incontro con coloro che già dispongono di impianti simili.

Il Parco del Pineto già si distingue per ospitare una delle Biblioteche di Roma più suggestive della Capitale, che a sua volta ospita un primo nucleo di testi dedicati allo skate e al longboard.

  • È un dovere delle istituzioni non rimanere indietro rispetto alle esigenze della cittadinanza. Questo significa che se dei fondi si rendono disponibili, il ripristino del minimo indispensabile non confligge con un’idea di eccellenza che rende ancor più attivo e partecipato uno spirito di cittadinanza. Dove è scritto che bisogna accontentarsi quando facendo convergere le energie si potrebbe addirittura definire e rappresentare un modello anche per altre realtà? È chiaro che chi frequenta l’ambiente dello skate ha una percezione già orientata in un certa direzione, eppure è un fatto oggettivo che negli ultimi anni la sensibilità per alcuni “veicoli” – per svago o per diporto – è notevolmente aumentata.
  • In particolare per l’area della Capitale, accanto a quelle dedicate allo street, si assiste al successo di manifestazioni come il Green Skate Day (nato in Canada nel 2007 come evento legato alla Giornata della Terra e che vede ormai nell’appuntamento romano quello più seguito nel mondo, con oltre 300 partecipanti  – moltissimi bambini – e chiusura delle strade attorno all’EUR) ed il Longboard Fest/Shapers Meeting.
  • Su una scala più ampia, alcuni elementi indicano una tendenza. Questo punto copre un vasto orizzonte che spazia dal successo di un film come Slam – Tutto per una ragazza (ambientato proprio a Roma e allo skatepark di Cinetown) alla presenza in molti spot commerciali, dall’introduzione dello skate tra le discipline alle prossime Olimpiadi Tokio 2020 al boom dell’hoverboard – nient’altro che versione elettronica e a 2 ruote dello skate – più volte rilanciato dai media.

 

Pubblicato da: ruotenelvento | giugno 7, 2017

SKATE E LONGBOARD ALLA BIBLIOTECA CASA DEL PARCO

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La Casa del Parco è una delle Biblioteche di Roma. Aperta nel 2009, si trova all’interno del Parco del Pineto, ospitata dal Casale del Giannotto, un edificio che risale alla seconda metà del XVI secolo che si affaccia sulla valle delle fornaci e più giù sulla Cupola di San Pietro.

La struttura, che per la sua collocazione venne indirizzata fin dall’apertura su tematiche naturalistico-ambientali, ha nel corso degli anni rafforzato questa vocazione alla sostenibilità, diventando sede anche della straordinariamente ricca Biblioteca della Bicicletta Lucos Cozza. Ora si aggiunge, grazie soprattutto all’interesse, alla disponibilità e all’entusiasmo della responsabile Daniela Mantarro e di tutto il personale, una sezione specifica dedicata ad un altro sport sport green come lo skate.

SOGNO NEL CASSETTO SKATE CASA DEL PARCO.JPG

Il piano nobile, già di suo impreziosito da pareti delicatamente affrescate, è stato in questi giorni ulteriormente arricchito dai sogni nel cassetto dei bambini della Scuola Primaria Lambruschini, coordinati dall’insegnante Mara Massafra. E se Roberto Giovannetti della 2D vorrebbe imparare ad andare in skate si dovrà fare di tutto perché questo desiderio venga esaudito.

Inoltre per una fortunata congiunzione astrale la zona rappresenta un punto focale per la comunità della Capitale perché a poche centinaia di metri si trova Kahuna, uno degli storici skate shop romani. Se poi nel quartiere – stiamo parlando della zona tra XIII e XIV Municipio, qualche giro lo ha fatto Danilo in questo video – ci si potesse aggiungere uno skatepark la triangolazione sarebbe perfetta, no?

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Questo primo nucleo di libri disponibili alla Casa del Parco o tramite il prestito interbibliotecario copre argomenti che vanno dall’autobiografia di uno skater leggendario come Tony Hawk al manuale per costruire un long, dalla narrativa di freeride a quella che è in finale un’approfondita ricerca su tavola e forma mentale di chi ci sta sopra all’interno della città. Per il momento potete trovare:

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Tra i libri presenti alla Casa del Parco Dove osano gli skates – La passione per lo sport, la nascita dell’amicizia, la sfida di diventare grandi di Nunzia Manicardi. Si tratta di un testo per la scuola divertente e ben scritto – si parla anche di bullismo – nel quale le mamme potranno rassicurarsi che “i ragazzi che frequentano lo skatepark non sono dei teppisti” 🙂

A breve sarà disponibile anche The Signal Hill speed run, che essendo un dvd richiede un ulteriore passaggio per la catalogazione. I libri possono essere richiesti direttamente alla Casa del Parco oppure presso qualsiasi altra Biblioteca di Roma, il catalogo online è qui.

Dello skate fateci un po’ quello che vi pare, girateci, slidateci, ollateli, flippateli, costruiteli, leggeteli, con una tavola nulla è precluso.

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